09 agosto 2007

Nasa, decolla lo shuttle Endeavour

CAPE CANAVERAL (Florida) - Nonostante tutto ce l'ha fatta. Dopo un tentativo di sabotaggio a fine luglio e un rinvio di 24 ore per motivi tecnici, la navetta Endeavour ha lasciato la base di Cape Canaveral, in Florida, poco dopo le 00.30, ora italiana. E' diretta verso la Stazione Spaziale Internazionale, dove l'equipaggio di sette membri si occuperà dell'istallazione di un nuovo modulo.

La missione, la prima per la navetta in cinque anni, durerà undici giorni e prevede tre passeggiate spaziali. E' la prima di una lunga serie: la Nasa ne ha in programma altre 11, necessarie per completare la Stazione entro il 2010. Data entro la quale le tre navette shuttle superstiti (Endeavour, Atlantis e Discovery) saranno ritirate dal servizio attivo e sostituite dalla Orion, che ha l'obiettivo di riportare l'uomo sulla Luna entro il 2020.

Per la Nasa, quindi, il lavoro della Endeavour sarà cruciale. Non solo il programma di lavoro presso la Stazione spaziale internazionale (Iss) è lungo e complesso, ma l'agenzia spaziale ha anche bisogno di mandare segnali positivi dopo gli scandali che ne hanno fatto vacillare la reputazione nell'ultimo anno: l'arresto di un'astronauta impazzita per amore, i piloti fatti volare ubriachi, i tentati sabotaggi (link).

E proprio per migliorare la propria immagine, la Nasa ha inserito fra le sette persone che compongono l'equipaggio, anche una maestra elementare. Si chiama Barbara Morgan, ha 55 anni, ed era la riserva di Christa McAuliffe, l'insegnante del Challenger esploso 73 secondi dopo il lancio, il 28 gennaio 1986. Il programma della Morgan prevede tre sessioni di 20 minuti ciascuna di lezioni in diretta dallo spazio, che saranno trasmesse a bambini in varie parti del mondo, oltre a una serie di altre attività educative.

(9 agosto 2007)

Articolo preso da Repubblica.it

L’archivio proibito della Shoah

Copio qui un articolo interessantissimo preso da ilGiornale.it


Nell’ottobre 2006 ricorreva il 62° anniversario della deportazione degli ebrei romani nei campi di concentramento nazisti. Il presidente del Consiglio Prodi inviò il rituale messaggio al presidente della comunità ebraica di Roma, aggiungendovi una buona novella: «Come Le è noto, il Governo italiano ha sottoscritto, lo scorso luglio, un accordo internazionale per l’apertura degli archivi di Bad Arolsen, i cui documenti offriranno un ulteriore motivo di riflessione su ciò che la furia sterminatrice generata dall’odio degli uomini contro altri uomini può produrre. Da questi Archivi riemergeranno anche i ricordi di tanti ebrei romani che è nostro dovere non lasciare nell’oblio». Tutto bene, dunque. Se non che, da allora, il governo italiano non ha preso nessuna misura per rendere operativi gli accordi: aggiungendo così, mistero a mistero.
A Bad Arolsen, cittadina dell’Assia, in una ex caserma delle SS, viene custodito uno dei più grandi archivi segreti del mondo, oltre 50 milioni di fascicoli che occupano 26 chilometri di schedari. Contengono un’enormità di dati sulla sorte di oltre 17 milioni di vittime dei nazisti, deportate dai Paesi occupati. Nel 1955, in base a un accordo internazionale, l’intero archivio venne affidato alla Croce Rossa, che deve risponderne a una specie di consiglio di amministrazione costituito da 11 Stati: Germania, Israele, Italia, Stati Uniti, Belgio, Francia, Grecia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Regno Unito, Polonia.
Israele e Usa furono, da subito, favorevoli all’apertura pubblica dell’archivio, mentre forti resistenze sono sempre venute dalla Germania, ufficialmente per la difesa della privacy, tutelata rigidamente in quel Paese. È vero, infatti, che i documenti contengono per lo più notizie personali e riservatissime: quali prigionieri furono accusati dai nazisti - a ragione o a torto - di omicidio, incesto, pedofilia, omosessualità, chi collaborò con i carnefici, chi servì da cavia agli esperimenti medici ecc.. A parte la tutela della privacy, però ci sono interessi (e sospetti) concreti. Il governo tedesco ha già dovuto pagare 80 miliardi di dollari in risarcimenti e l’apertura degli archivi (finora a disposizione soltanto dei familiari che ne facciano richiesta) potrebbe provocare tante nuove richieste di risarcimento, oltre a possibili cause per la diffusione di dati personali.
Prima del 2006, i governi italiani avevano almeno una giustificazione di solidarietà con la Germania. Tuttavia, in seguito alle pressioni internazionali, nell’aprile del 2006 il governo tedesco dette il proprio assenso, seguito subito dopo dagli altri governi. La decisione però deve essere ratificata, e l’Italia si è dimostrata la più restia a farlo, nonostante l’invito del governo tedesco. Tanto che nel dicembre del 2006 il presidente della Commissione esteri del Senato americano ha scritto all’ambasciatore italiano sollecitando la ratifica, invano.
Quattro mesi dopo è stata Hillary Clinton a presentare una risoluzione sullo stesso argomento. Pressioni diplomatiche, assidue quanto inutili, sono state fatte sul nostro governo da Israele. Alla fine di giugno di quest’anno l’onorevole Valdo Spini ha presentato un’interrogazione parlamentare - caduta nel vuoto - al ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, che dovrebbe prendere l’iniziativa della ratifica.
Tutto ciò avveniva mentre lo stesso governo italiano, nella figura del ministro della Giustizia Mastella, si proponeva di varare leggi contro i «negazionisti» dell’Olocausto: e gli archivi di Bad Arolsen possono costituire la prova scientifica determinante di quanto avvenuto, e come, nei campi di concentramento nazisti.
La resistenza passiva del governo italiano è dunque così grave da far escludere, come possibile motivazione, un semplice «dispetto» agli Stati Uniti e a Israele, non amati dal nostro ministro degli Esteri. Sul Riformista di ieri Paolo Soldini ha avanzato tre ipotesi, già accampate dagli storici, per spiegare il mistero: 1) Le Assicurazioni Generali dal 1918 stipularono numerose assicurazioni sulla vita nei Paesi dell’Est, dove vivevano molti ebrei; durante la Seconda Guerra Mondiale, le polizze stipulate nei Paesi occupati dai tedeschi furono incamerate nelle casse del grande gruppo assicurativo. L’apertura dell’archivio potrebbe far riaprire cause di risarcimento costosissime per uno dei colossi della finanza italiana. 2) Secondo alcuni storici americani, a Bad Arolsen ci sarebbero interi file sull’aiuto dato dal Vaticano a criminali di guerra per nascondersi e sfuggire alla giustizia internazionale: un caso per tutti, quello del vescovo romeno Valeria Trifa, corresponsabile del pogrom
di Bucarest del 1941, nascosto in Vaticano e poi aiutato a mettersi in salvo. 3) L’ultima ipotesi è che le carte di Bad Arolsen contengano prove della responsabilità di alcuni italiani nello sterminio: forse «Funzionari dell’amministrazione pubblica italiana», si chiede il Riformista, «che magari hanno continuato indisturbati la loro carriera “dopo”?».
La Farnesina ha reagito all’attacco del quotidiano arancione, solitamente amico, con un comunicato in cui promette una semplificazione delle procedure di ratifica e una soluzione «in tempi rapidi» del problema. Una promessa già fatta in precedenza, e non mantenuta. C’è da augurarsi che stavolta non sia così perché – oltre la conoscenza storica e la giustizia – ne risentirebbe la credibilità italiana nel mondo.

Giordano Bruno Guerri
www.giordanobrunoguerri.it