Una colonna di fumo nero si alza nei pressi dell'aeroporto, dicono sia un attentato. Lungo la superstrada che porta in città auto e camion in controsenso fanno più paura dei mitra spianati di contractors e guardie di sicurezza. Baghdad sta entrando nella sua nuova settimana di fuoco e lo fa con l'apparente schizofrenia di una metropoli che può soltanto sopravvivere in spazi che si restringono da anni.
Sono le tre del pomeriggio, il volo da Amman è giunto come sempre in ritardo, incrociando grande traffico di elicotteri e gran bordello lungo la superstrada, dovuto al fatto che dopo le quattro tutti vogliono essere a casa. «Il coprifuoco scatta alle nove di sera - spiega il fidato autista sunnita della scorta che è venuta a rilevarci - però dopo le quattro non circola più nessuno». Racconta che all'una, quando aveva attraversato Yarmuk Street per andare a prendere il «coéquipier» sciita, i marciapiedi erano deserti e mezz'ora dopo, ripassandovi, ha visto quattro cadaveri sull'asfalto con i polsi legati dal fil di ferro.
L’operazione «Colpo d’ascia»Oggi si combatte nella famosa Haifa Street e nel quartiere di Fadhel, dove poche ore fa era stato abbattuto un elicottero della Blackwater con cinque contrattisti a bordo. Si dice che abbiano eliminato i superstiti con un colpo alla nuca, come si fa negli scontri ultimativi. Il comando americano ha battezzato l'operazione «Colpo d'ascia» e si dovrebbe sperare che la mazzata riesca, anche le se le probabilità non sono molte. «Quella di oggi - racconta lo sciita - é una battaglia vera: gli americani stanno usando elicotteri e carri armati, hanno piazzato cecchini sui palazzi». I primi tremila rinforzi statunitensi sono arrivati quarantott'ore fa e prima che la settimana dell’Ashura scateni l'imprevedibile, governo e liberatori vogliono ripulire la capitale, anche a costo di impegnarsi in autentiche battaglie urbane. Nel quartiere di Yarmuk, a ridosso dell'aeroporto, la fila di automobili di fronte a un distributore di benzina è lunga mezzo chilometro. Ogni tanto furgoni strombettanti tentano di spezzarla con autisti urlanti che rispondono al coro di insulti indicando i carichi che portano sul tetto.
Il funerale delle teste mozzeO sono mobili o sono bare. Più spesso bare. Qualcuno magari tenterà anche di impietosire gli altri esibendo un morto finto, però in genere, ci viene assicurato, i morti sono proprio morti e quelle auto appartengono a sciiti che cercano di trasportare i resti dei loro cari fino al cimitero sacro di Najaf. Le vetture con il salotto legato sul tetto sono invece di gente che sta scappando dalla città. La radio dice che a Najaf si sta recando anche un corteo partito dal villaggio di Modain, poco a Sud della metropoli. Vanno a seppellire 25 teste ritrovate in una discarica, mentre i corpi non si sa dove siano finiti. Due marines sono stati uccisi nella provincia di Al-Ambar, uno nella capitale, tre terroristi sono morti in città. L'elenco degli orrori potrebbe continuare all'infinito e sicuramente lo farà, però è forse più utile cercare di capire cosa stia succedendo e in cosa potrebbe sfociare questo nuovo braccio di ferro fra sciiti, sunniti e peroratori di tesi dinanzi al Congresso. L’Ashura è la festività che ogni anno, in memoria della morte di Hussein, conduce la plebe sciita alla città santa di Kerbala in interminabili e stracciati cortei di zoccolanti. S'è iniziata pochi giorni fa, raggiungerà il culmine fra lunedì e martedì prossimi quando decine di migliaia di persone si riuniranno dinanzi alla Moschea Azzurra per fustigarsi e chiedere al Profeta un riscatto atteso da secoli.
Gli equilibri del potereQuesto è quel che avviene dal punto di vista religioso. Da quello politico invece grazie agli accordi del dopoguerra e all'importazione delle regole della democrazia in Iraq quel riscatto è già cominciato, e dopo millequattrocento anni il Paese viene governato (o provvisoriamente gestito) da due grandi movimenti sciiti. E questa è la ragione per cui la guerriglia sunnita se la sta prendendo sempre più a male. La sintesi sarà un po' rozza, però rende. La nostra scorta per esempio oggi rappresentava un rarissimo esempio di collaborazione interreligiosa, vuoi grazie ai soldi dello straniero, vuoi per la memoria di vecchie imprese comuni; eppure perfino fra vecchi amici ormai affioravano tensioni. «Io abito nel quartiere di Adamhya - faceva lo sciita, che nella sua zona si trova in minoranza - e ogni giorno ci sono intere famiglie che scompaiono, i criminali sunniti arrivano coi mitra spianati e dicono alla mia gente di andarsene senza prendere neppure la biancheria».
Vendette incrociateIl sorriso del sunnita alla guida non era troppo amichevole, lui abita a Khadamya, sulla sponda opposta del Tigri e rispetto a una maggioranza sciita a sua volta è un isolato: «Dalle mie parti - raccontava - le bestie di Moqtada Al Sadr hanno bruciato un appartamento abitato da sunniti con l'intera famiglia dentro...». Più che di nuova pulizia etnica nel caso iracheno si dovrebbe parlare di pressanti indicazioni a migrare, un disegno di difficile attribuzione vorrebbe vedere tutti i sunniti di Baghdad piazzati sulla riva occidentale del Tigri nell'area denominata Khark (che in lingua araba significa appunto Ovest) e gli sciiti lungo la sponda opposta, chiamata Rafida che poi significa «area dei rinnegati». Questo almeno è quanto accadeva fino a ieri. Dopodomani forse anche a Baghdad l'Ovest continuerà a chiamarsi Ovest e Rafida Sharh, ovvero semplicemente Est, la rivoluzione del potere sta per produrre anche una rivoluzione semantica. Se le cose dovessero proseguire così è abbastanza facile immaginare nel prossimo futuro una Baghdad sarajevizzata e suddivisa in zone etniche pronte a spararsi l'una contro l'altra. Adesso in parte questo già avviene, solo che le divisioni non sono così nette e gli assassinii avvengono casa per casa anziché quartiere per quartiere.
Una partita pericolosaSe questo è il futuro dell'Iraq sarà cosa che si potrà comprendere meglio soltanto nei prossimi giorni. La partita che si sta giocando, però, è esattamente questa. Due settimane fa a Baghdad agguati e omicidi sembravano essersi spenti: era accaduto semplicemente che le truppe americane avessero circondato Sadr City, bloccando il flusso delle plebi e del banditismo sciita. Poi Moqtada Al Sadr è rientrato nel governo e l'esecutivo ha bloccato l'azione americana poiché «gli sciiti di Sadr City sono fratelli». Nei prossimi giorni vedremo se fra scontri e stragi l'atteggiamento della Casa Bianca sarà destinato a mutare. Nella vita bisogna essere ottimisti.
Fonte: La Stampa
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